relazione di studio di Federico Giusfredi
La
storia del libro
La prima cosa che
va detta, nel presentare questo libro, é che non di un libro si tratta, ma
di un'arma, un'arma la cui costruzione il governo statunitense affidò alla
professoressa Ruth Benedict della Columbia University.
Infatti, di fronte alla necessità di portare avanti la guerra nel Pacifico, gli Americani si
resero conto di trovarsi faccia a faccia con una cultura, quella giapponese, che
non conoscevano né erano in grado di interpretare; allora commissionarono la
stesura di un trattato che potesse aprir loro gli occhi riguardo alle abitudini
e ai valori di quella nuova, imprevedibile, nazione.
"Il Crisantemo e la Spada" fu iniziato nel giugno dell'anno 1944, nell'intento
di scoprire "cosa avrebbero fatto i Giapponesi" o "che cosa
dovevamo dire alle loro truppe nella nostra propaganda", piuttosto
che "se andava presa in esame anche l'eventualità di un annientamento del
popolo giapponese".
Sostanzialmente
una lettura critica di questo libro porta non solo a conoscere meglio il
Giappone di quegli anni, ma anche a valutare meglio l'atteggiamento che gli Usa
hanno sempre avuto nei confronti delle culture "altre", laddove la pur
progressista prof. Benedict lascia sovente trasparire un notevole snobismo
militaristico tra le sue righe, che in certi momenti sanno più di propaganda
che di scienza.
Il
popolo della contraddizione
Il libro tuttavia
rimane una grande opera; la prima cosa è spiegarne lo strano titolo. Ruth Benedict non
potè recarsi di persona nel paese del Sol Levante: le sue fonti furono
Giapponesi viventi in America (Nissei) o prigionieri di guerra. Il
Giappone e la società. Esiste un'unica
massima che è in grado di riassumere, secondo Ruth Benedict, tutto
l'universo dei valori di un Giapponese in questo campo, e questa massima
è: "ognuno al suo posto!". Due sono le
evidenti caratteristiche di una tale filosofia: la prima è il credere
fortemente in un assetto gerarchico, la seconda la particolare rigidità di tale
assetto. Il Samurai era
peraltro il modello cui il soldato moderno doveva rifarsi e che per dovere d'aristia
(Bushido) doveva, in silenzio, far fronte alla fame e al dolore; che considerava
l'avere gli occhi di tutto il mondo
addosso (espressione testuale della propaganda) come l'occasione di mostrare il
proprio valore. Restaurazione
Meiji (cpt 4) Nel 1868, al
grido di Sonno joi, il Giappone pose fine all'età degli Shogun (effettivi capi
di stato fin dall'undicesimo secolo). I più felici
furono i contadini, che videro ridotte le tasse all'altezza del 1876. Nel 1877 vi fu
un tentativo di rivolta aristocratica
da parte del samurai Saigo. Cito l'episodio perché l'imperatore arruolò in
quell'occasione un esercito di gente comune, e furono questi ultimi a trionfare
sui Samurai. Nel 1889 , al ritorno dell'ambasciatore Ito dall' Europa, venne
quindi compilata la costituzione: essa prevedeva una dieta bicamerale dal solo
potere consultivo, dove tra le due camere (entrambe impotenti) vigeva una
gerarchia che le voleva una sottomessa all'altra (la meno importante era
elettiva), ed entrambe sottomesse alle loro eccellenze, i ministri
dell'imperatore. ON e
GIMU (cpt4-8) 1) il KO ON, che
si riceve dall'imperatore all'atto di vivere nella società 2) l' OYA ON, che
si riceve dai genitori all'atto della nascita 3) il MUSHI NO
ON, che si riceve dal padrone o dal capo 4) lo SHI NO ON,
che si riceve dal maestro di una disciplina. Accanto
all'eterna devozione, si manifestano le necessarie e a loro volta eterne modalità
di pagamento. Genericamente si
parla di Gimu,ovvero di immortale disponibilità; ne esistono poi di più
specifiche: 1) al ko on
corrisponde il CHU, la fedeltà all'imperatore 2)all'oya on il
KO, la fedeltà verso la famiglia 3)al MUSHI NO ON
il NIMMU, la fedeltà ai propri compiti. Ora un consiglio
vitale, MAI restituire la sigaretta! Equivarrebbe a
dire "Non sei degno di un Gimu." Esistono poi
degli obblighi la cui importanza pratica rende degni d' essere ripagati con la
stessa moneta. Può trattarsi in
positivo di ricambiare favori o in negativo di vendicarsi. I procedimenti di
tale pagamento sono estremamente complessi agli occhi di noi occidentali. Un Samurai deriso
dal proprio padrone non può, per esempio, limitarsi ad andarsene, ma deve
necessariamente passare dalla parte avversaria. Il Giri è dunque
una forma di pagamento completa, ma nello specifico diventa estremamente
impegnativa. Va citato, tra i
vari Giri, quello del proprio nome. Esso deriva da
una serie di obblighi verso sé stesso e la propria famiglia che lo rendono
analogo al concetto europeo di Onore. Una delle modalità
per pareggiare questo Giri è il famoso harak'iri, unico atto dignitoso in
alternativa alla vendetta. Diversamente
dalla sfera dell'on, infatti, per quanto concerne il Giri è dovere del
gentiluomo rispondere a tono
ai complimenti come agli insulti. Credo di avere già
nominato il Bushido. Esso, che
definisco "aristia del Samurai" è la diretta conseguenza del Giri
verso il proprio nome: un Samurai affamato non può mostrarlo, un Samurai ferito
deve nascondere il dolore, pena il suicidio o lo stato di RONIN. I
Giapponesi e il piacere (cpt 9) Due sono i
possibili atteggiamenti di un Giapponese verso il Piacere. Il primo, applicato
per esempio al piacere sessuale e all'attrazione tra i sessi, è quello di ritenere
l'argomento talmente futile che non vale la pena di preoccuparsene: quello che
capitava sempre bene. Questo è il motivo per cui, tra tutti i paesi orientali,
il Giappone è l'unico a garantire a chiunque una libertà sessuale che
all'occidente parrebbe invece immorale. Il secondo e maggioritario atteggiamento
è quello di concedersi il piacere preparandosi però ad una espiazione. E' ad esempio
considerato da loro un grande piacere quello di un bagno caldissimo. Così
anticamente i contadini tornati a casa la sera si immergevano voluttuosamente in
una vasca fumante. Ma la mattina successiva, per pareggiare i conti si
infliggevano il supplizio di gettarsi sotto una cascata gelata. Oltre a
considerarlo come qualcosa da "pagare" i giapponesi pongono il piacere
all'ultimo gradino delle priorità. Ritengono per esempio il sonno un piacere e
non una necessità, così i giovani studenti sono soliti privarsene quasi
completamente nei giorni prima d'un esame. Tirando
le somme sulla virtù Esiste nel
Giapponese antico una parola, MAKOTO, che può e non può essere tradotta con
sincerità. Makoto è ciò su cui si basa ogni moralità, é l'insieme delle
virtù, è il giusto mezzo tra umiltà e valore. Proprio osservando la
molteplicità di sfumature che per questa gente può assumere il concetto di
virtù, ci possiamo a mio avviso rendere conto di quale sia la giustificazione
dei numerosi paradossi del Giappone. Ad esempio il soldato che non vuole
arrendersi, ma un volta catturato diventa un prigioniero modello, passa da un
atteggiamento di Chu ad uno di Giri verso sè stesso. La virtù di un giapponese
sta nello scegliere la sfera di competenza del caso attuale; e spesso la
contradditorietà è il solo mezzo di attenersi al Makoto nonostante i conflitti
di valore che possono nascere tra diversi on e prendere forma dilemmatica. Il
problema dell'autodisciplina Per quale motivo
corpo e piacere vengono posti dai giapponesi in secondo piano rispetto a
qualsiasi forma di dovere? e' necessario a questo punto occuparsi del problema
dell'autodisciplina. Mentre per un occidentale essa rappresenta la capacità di
darsi delle limitazioni onde raggiungere un obbiettivo, per un giapponese
l'autodisciplina è un atto doveroso di per sè,al quale si deve concorrere
parallelamente a tutti gli altri obbiettivi della vita. Questa necessarietà
morale fine a sè stessa di imporsi dei limiti e delle costrizioni è l'evidente
spiegazione delle frequenti mutilazioni operate dai giapponesi al proprio
piacere fisico. ora è tempo di un ulteriore chiarimento: il giapponese vive
tuttavia il SHUYO stesso come un piacere, necessario ad assaporare il gusto
della vita. SHUYO, ovvero autodisciplina può essere praticato a due livelli, il
primo utile al raggiungimento di un equilibrio all'interno della vita pratica,
il secondo mirato al perseguimento della saggezza. Saggezza tanto per cambiare
non è la parola esatta, si tratta, usando un termine proprio del buddismo zen,
di MUGA, ovvero di identità assoluta tra intenzione e azione, e della
conseguente facoltà di abbandonare, in quanto superflue, le pratiche
dell'autodisciplina. La visione particolare che i giapponesi hanno del buddismo
fa sì che il muga, nelle credenze popolari, prenda nettamente il posto del
notissimo NIRVANA, laddove la cultura nipponica sente evidentemente la necessità
di un obbiettivo concreto per l'ascetismo. IL buddismo Zen, filosoficamente
parlando, è estremamente originale e radicalmente antropocentrico. Emblematici
sono il rifiuto della presenza della mano divina nell'atto della trance, e la
negazione del fatto che la stessa trance possa portare l'uomo in armonia con
l'universo. L'educazione
e la famiglia L'ultima parte
del testo si occupa del la vita familiare e dell'educazione infantile nel paese
del Sol Levante. Ho già parlato della grande libertà sessuale presente in
Giappone, ora voglio precisare che questa libertà è estesa anche alle donne.
Il matrimonio è qualcosa che col sesso ha ben poco a che vedere, simbolo
dell'amore(fisico e non) è in questa cultura la GEISHA, una figura estremamente
simile all' etera dell'antica grecia. Potersi permettere di andare da una geisha
é per i giapponesi simbolo di finezza e ricchezza, significa non doversi
accontentare di una volgare prostituta. Violentare una geisha è un atto
gravissimo, e diventarne l'amante rientra nella sfera del giri. Ma il fatto che
più stupì l'opinione pubblica statunitense fu che a fine mese è la moglie tra
le altre spese di casa, a occuparsi del conto della geisha o della prostituta da
cui va il marito. La moglie di un giovane uomo è effettivamente l'unico membro
della famiglia cui nessuno porta obblighi. L'educazione del figlio in Giappone
prevede paradossalmente l'uso di lasciare al bambino una grande libertà. L'idea
che sta alla base è che il bambino imparerà da solo il senso del dovere. La
ragione principale del grande affetto dei giapponesi verso i figli è per noi
occidentali assai meschina: si desidera qualcuno
che sappia in futuro operare i dovuti riti di fronte alle nostre ceneri.
Il bambino giapponese medio impara a parlare prima che a camminare, non sempre
gattona e viene portato in giro legato alla schiena da madre e fratelli. E'
considerato assolutamente normale che, crescendo; verso i 6 anni il piccolo
picchi la madre: per un giapponese e' segno di maturità. Terminata la prima
infanzia, però, viene il momento di imparare il senso del dovere;
l'atteggiamento dei genitori muta di colpo e vengono introdotti metodi punitivi
assolutamente atroci. L'idea del giapponese è che il dovere si concentri
nel periodo dai 10 ai 60 anni, come i bambini anche i vecchi sono
trattati, per così dire con i guanti. Conclusione Non ritengo utile
nè piacevole una completa recensione dell'ultimo capitolo del libro, che è in
gran parte un encomio dell'operato del generale McArthur nel primo dopoguerra.
Rimane tuttavia assai interessante la considerazione finale dell'autrice. Ella
pronostica la rapida rinascita del paese come conseguenza della grande elasticità
ideologica e del grande senso del dovere del cittadino giapponese. Trovo
affascinante come questo pronostico sia stato pienamente azzeccato.
Dei Giapponesi, infatti, dove si diceva fossero leali, si aggiungeva che talvolta erano
traditori; dove si diceva fossero conservatori, andava aggiunto che erano capaci
di bruschi cambiamenti di valori. Queste incoerenze, che si estendevano all'
etica, all'estetica e alla stessa politica, rappresentavano un grosso problema
strategico prima, e ne avrebbero rappresentato uno diplomatico poi con McArthur,
per il governo degli USA.
Oltre che per la
sua genialità, forse anche per questo motivo la nostra autrice mise in luce per
prima i termini del paradosso: per aver visto il Giappone da lontano, senza esservi immersa (ma questa è
tuttavia un'idea solo di chi scrive, che la Benedict peraltro non condivide).
Questi precetti
morali, chiamati ON e GIMU, che approfondiremo in seguito, sono il cemento che
ha tenuto assieme il paese in quegli anni.
Nonostante si sia
trattato di una guerra che il Giappone visse prioritariamente da aggressore ed
invasore, vi fu dunque una grande partecipazione emotiva ed idealistica
popolare.
Tutto questo non
significa che i giapponesi andassero nudi contro le armi, bensì chiarisce come
il valore dei fucili e dei cannoni, almeno secondo la propaganda antiamericana,
dovesse essere ridotto a simbolo di forza spirituale, proprio come un tempo tale
simbolo era la spada del Samurai.
A questo
proposito è importante osservare che in una battaglia di media o di grande gravità,
i prigionieri statunitensi in caso di vittoria giapponese erano in media quasi
un centinaio, mentre in caso contrario i prigionieri giapponesi arresisi
spontaneamente non erano mai più di una decina.